domenica 31 maggio 2015

Gira così forte che dà le vertigini...

Roma - Piazza del Popolo.

Nella sua Bombay i bambini giocano a cricket per strada, con una palla di gomma rossa, e anche se il battitore colpisce fortissimo e tira giù il vetro di una finestra, nessuno si arrabbia. Il vetro si riaggiusta da solo in pochi secondi, e il gioco riprende. L'arbitro è il vecchio padrone di una tabaccheria. Anche se non può concentrarsi troppo perchè deve vendere sigarette, "paan" e "supari", è così dotato che riesce a ricostruire mentalmente l'intera partita, palla dopo palla. Il lanciatore tira nei modi più strani. Prende la rincorsa all'indietro, senza nemmeno controllare i paletti e scaglia la palla alta nel cielo, se il battitore attende con pazienza che la palla ricada, cosa per cui possono volerci da uno a sette minuti. Quando finalmente la palla cade, gira così forte che dà le vertigini. (dal romanzo di Anosh Irani "Il bambino con i petali in tasca")

venerdì 29 maggio 2015

Era così bella e seducente...

Will era così sexy e Jack lo desiderava a tal punto che non poteva credere di non essere ricambiato. Cosa sarebbe successo se Jack gli fosse scivolato vicino e gli avesse messo una mano sull'inguine, come Edward aveva fatto con lui? Sarebbe stato come quel pomeriggio con Rebekkah, quando erano entrambi su di giri e lui si era fatto avanti e si sentiva uno stupratore ma poi aveva scoperto che anche lei aveva voglia di scopare? O forse no. E se Will l'avesse respinto e si fosse messo a guardarlo spaventato, indignato, schifato? Forse la situazione era un pò come la musica che stavano ascoltando. Era così bella e seducente che sicuramente anche Will ne stava godendo, sebbene due settimane prima fosse stato categorico nel dichiarare di odiare in toto la musica pop. "Non è neanche musica, non so nemmeno cosa ci sia da stare ad ascoltare - è rumorosa, banale, ha un ritmo monotono, è prevedibile ed è anche troppo breve e inconcludente. Non ha uno sviluppo. Non è niente. Niente!"
Era così facile, guardando Will da fumato, convincersi che fosse la voce un pò monocorde di Dionne Warwick a stregarlo fluttuando sopra quegli ammassi di archi, così come era impossibile resistere alla suggestione di un Will eccitato, a cui non sarebbe dispiaciuto essere inghiottito dalla calda, umida bocca di un amico. Lo stava solo immaginando o quella piega nei pantaloni si stava ingrossando, trasformandosi in un'erezione un battito dopo l'altro? Will faceva finta di sonnecchiare ma sapeva benissimo che Jack stava fiutando la sua eccitazione, anche da laggiù. Ma Jack non fece nulla e quell'attimo si paralizzò, come il sorriso su un volto carbonizzato. Per fortuna. Perchè subito dopo Will si stirò e si sedette  e parlò con il suo viso austero, quasi gotico. "Malgrado quella musica zuccherosa mi sono addormentato. Come fai ad ascoltare quella robaccia?" (dal libro "Jack Holmes e ilsuo amico" di Edmund White)

giovedì 28 maggio 2015

Quella oscena colata di case corrose dalle piogge e...

Qualche volta me ne andavo in giro per il parco da solo, e mi fermavo sull'orlo dello strapiombo a guardare la città di sotto che si apriva come un ventre tumefatto in mezzo ai fumi e al chiasso furioso che lassù arrivava ovattato. Il mare sembrava immobile e oleoso anche nei giorni di vento, e la luce accecante della primavera faceva apparire ancora più oscena la colata di case corrose dalle piogge e dall'incuria. (tratto dal libro "Di questa vita menzognera" di Giuseppe Montesano)

mercoledì 20 maggio 2015

Rafforzare la pazienza e la compassione...

I tibetani dicono che il nemico è un grande maestro, perchè solo un nemico ti aiuta a rafforzare la pazienza e la compassione. (dal film "Sette anni in Tibet", Brad Pitt)

lunedì 11 maggio 2015

Il ragazzo della porta accanto...

Jack era alto e slanciato e aveva addominali duri come il guscio di una tartaruga. I suoi capelli lisci si potevano definire biondo sporco, per quanto lui li tenesse pulitissimi lavandoli con lo shampoo Breck, un prodotto per donne. Le compagne a cui Jack era simpatico dicevano che aveva un aspetto da ragazzo della porta accanto, mentre quelle a cui piaceva davvero vedevano in lui il lanciatore di una squadra di baseball. A ogni complimento o cenno di interesse nei suoi confronti esultava (cosa di cui si pentiva all'istante). Si chiedeva se i suoi bizzarri genitori fossero coscienti del suo valore. Il sabato sera i ragazzi del collegio guardavano un film con le ragazze della scuola femminile gemellata con la loro. I ragazzi, soprattutto i convittori, con le donne erano goffi come monaci, ed era sempre un'impresa convincerli a rivolgere la parola alle loro ospiti durante il rinfresco a base di biscotti e sidro analcolico che seguiva la proiezione. I non convittori, che di solito passavano il fine settimana a casa, erano molto più a loro agio quando gli capitava di partecipare a quelle serate. Se non altro trattavano le donne come esemplari della stessa specie, mentre i convittori deglutivano imbarazzati, cambiavano colorito e si prendevano a gomitate nelle costole, quasi che le ragazze fossero cose preziose di cui avere soggezione, come cavalli purosangue appena acquistati.
Jack andava d'accordo con maschi e femmine perchè era il classico "bravo ragazzo". Aveva l'abitudine di porre domande insolite e molto precise anche a completi estranei. A una mostra fotografica studentesca poteva, senza alcun preambolo, chiedere alla persona in piedi accanto a lui: "Si vede proprio che sono scatti dello stesso fotografo, eh? I soggetti sembrano tutti usciti dagli anni Trenta." Per quanto strano fosse l'approccio, a Jack bastava che l'interlocutore gli dicesse come la pensava. Gli dava l'impressione che si conoscessero da una vita. (tratto dal libro "Jack Holmes e il suo amico" di Edmund White)

giovedì 7 maggio 2015

Lo vedevo sconosciuto...

In quell'esatto momento Andrea uscì dai perimetri della mia vita e non so con quale coraggio mi fece il suo "in bocca al lupo" per il locale. Mi rendevo sempre più conto di quanto fosse imbecille. Mai una volta gli era passato per la testa non dico di chiedermi scusa , ma quantomeno di giustificare o spiegare anche successivamente la sua uscita di scena dal Red Deer, dopo tutti i suoi propositi eccellenti, i discorsi e i sogni di Londra, l'entusiasmo infiammato. E da un giorno all'altro, era stato come se il club non l'avesse mai riguardato. Per un attimo volli vederlo complice, quando si rammaricava che non avevamo ancora trovato niente in cui tuffarci, neanche un pezzetto di nuvola a cui aggrapparci per raggiungere il futuro, ancora inesistente. Anche se era sincero, stavolta non aveva fatto in tempo, era arrivato tardi e non c'era più posto per lui. Solo io l'avevo riscaldato di certezze, e non me ne facevo più niente delle sue bugie. Lo vedevo sconosciuto all'improvviso. Lo vedevo per la prima volta. Cosa voleva questo estraneo nella mia cucina, a tavola con me, mi chiedevo. E mi dava fastidio anche il rumore del suo bicchiere ora vuoto, con dentro il cucchiaino sporco e biancastro. Ad Andrea il latte piaceva zuccherato. Ma il passato era finito e si capovolgeva nel mio bicchiere mentre lui, nonostante il mio rifiuto, mi versava ancora latte; si capovolgeva nei cerchi alla base, nel liquido bianco che piano piano saliva, fino al bordo. Ma non toccai quel bicchiere. Stavolta no. Quando Andrea se ne andò, gettai la nostra storia nel cesso, come carta igienica. Era finita. Quella volta lo dissi io. (dal libro "Latte acido" di Rossella Longo)
1.2. Opere di Diego Tolomelli.

mercoledì 6 maggio 2015

L'impeto del desiderio...

Gli passai le mani tra i capelli, gli presi le mani e le dita, poi avvicinai la bocca alle sopracciglia, alle palpebre, lasciando un'impronta di saliva. Scesi sulle guance ruvide, poi il mento, il pomo d'Adamo rigido e orgoglioso. Il collo, il petto seminudo. Giocai con la peluria, irta, nera. Le mie mani entrarono nella sua camicia, la sbottonai, gli accarezzai i pettorali. Appoggiai la testa sul suo ventre, con le dita sentii il rigido degli addominali. Lo esplorai e lo baciai aggressivo, cercando ristoro di sensi smaniosi. Andai più giù, la pelle aveva il segno dei jeans, stretti sulla vita. Quando avvertii il suo sesso inturgidirsi provai un piacere acuto e struggente, mi sembrò di placare un istinto primordiale. Lo superai passandoci sopra le mani, infilandole nell'interstizio semichiuso della lampo metallica, gli sbottonai i jeans. Continuai a farmi tenero tra le sue braccia, tra le sue gambe, scovando strati di pelle con la lingua; mi rotolai da destra a sinistra cercando un appiglio, qualcosa da possedere. Appoggiai le labbra sul suo pene eretto e lo accolsi dentro di me. Fu finalmente mio. Mi piaceva il suo sapore fra le lenzuola stropicciate di bianco. Gli occhi seguirono la curiosità delle dita, le mani strinsero il vigore del corpo, la bocca assaporò l'impeto del desiderio. Andrea ricambiò i miei gesti come in uno specchio fatato, sembrava un angelo venuto da un regno incantato. Un principe indiano. O forse no. Un dio.
E come un dio alzò la mia testa, se la portò sulla spalla massiccia. Mosse il bacino, mi girò prima staccandosi e poi riavvicinandosi piano. Spinse, prima delicato poi irruente. E poi altre volte. Quando esausto si fermò, i miei glutei vibravano lenti. Posò la testa sulla mia schiena, sulla curva della spina dorsale. Sentii i capelli scendere, sorrisi, provai a cercare dietro di me qualcosa da toccare: il naso, le orecchie, un labbro. Provai a rigirarmi ma il peso del suo corpo non mi permise di farlo. Si alzò appena qualche centimetro in aria, teso sulle braccia. Ricominciò piano senza dire una sola parola. Ci possedemmo profondamente, a lungo. Poi ci distendemmo supini, uno accanto all'altro, immobili. Inanimati. (tratto dalo libro "Latte acido" di Rossella Longo)

1. Opera di Volodia Popov; 2. Opera di Viktor Sheleg (Black and Red).

martedì 5 maggio 2015

I suoi occhi erano perle nere...

Le dissi che era venuto a trovarmi Andrea per fare due chiacchiere nel mio nuovo appartamento sopra il locale. Era situato al primo piano, me l'avevano affittato per poche centinaia di migliaia di lire al mese e per me era stato un vero affare considerata la mia triste situazione economica. "Fantastico!" disse lei, anche se non capii se parlava di Andrea o dell'appartamento. Andrea tornò a farmi visita. Annoiatosi di Anna, rientrò di sghembro nella mia vita e nel mio letto. I suoi occhi erano perle nere che luccicavano dagli zigomi sporgenti, lo sguardo liquido mi pervase tutto. Il portamento sicuro, seducente, sembrava sussurrasse misteriose leggende dell'abbisso cristallino dei suoi silenzi. Andrea mi guardò. Scrutò la mia camera, gli oggetti allineati, il letto di legno. Senza parlare mi avvicinai a lui, sentii quel profumo a me subito familiare. Fui attratto dagli occhi profondi, dalle labbra carnose, dal corpo ambrato. Senza opporre alcuna resistenza mi abbandonai a lui come ne fossi calamitato. Mentre bruciavo di voglia tramutavo le mie pulsazioni in piccoli gesti, ora delicati, ora virili. Fuori l'aria era stanca. La città era appesantita e oppressa dall'afa. I vicini erano al mare, pure il gatto si erano portati. Mi ero abituato al suo miagolio. L'asfalto era cotto dal sole, le vie lunghe e sfocate dal caldo. Solitudine. Sembrava una condizione priva di forme di vita, nè voci nè suoni, un'amorfa dimensione opalescente, senza volume. Abbandono. (tratto dal libro "Latte acido" di Rossella Longo)
Foto 1. Museo Chiaramonti, (Musei Vaticani Roma); 2. Palacio Carlos V Alhambra.

lunedì 4 maggio 2015

Quello che ci capitò in quei giorni fu esagerato...

La sera del tappeto, della cena cinese e del cinema iniziò una storia di fantascienza, proprio come i discorsi di Andrea. Stentavo a crederci. Andrea mi prese la mano come mai prima e mi condusse a vedere quello che c'è dopo la neve, quello che non vedi neanche quando stai fatto fino all'anima. Mi portò in mondi nascosti dove nessuno mi aveva mai portato, dove niente poteva stare in quel momento oltre il cielo e il fuoco, ancora più avanti sino alla fine del mondo. Andrea mi chiese, sfiorandomi di sospiri baciati come l'offerta di una vergine, io mi sentii chiesto e risposi. A quella voce tanto attesa, desiderata con tutto me stesso per così lungo tempo. Non cercai spiegazioni a quel cambiamento. Le relazioni, specie quelle più difficili e delicate, assumono improvvise e diverse configurazioni modificandosi, talvolta, senza una razionale motivazione.
Forse perchè noi stessi decidiamo che è giunto il momento di cessare il fuoco e di ricongiungerci con la nostra parte vera, quella che sola ascolta ciò che desideriamo e che resta la nostra parte migliore. Dopo quella sera, in cui io e Andrea intrecciammo i nostri corpi alle nostre anime, ne seguirono ancora altre meravigliose, curiose. Segretamente scoprimmo la città di cui nessuno ci aveva mai parlato, assaporammo morbosamente il piacere che i nostri genitori non ci avevano mai spiegato. Pensai a papà che mi aveva comprato i profilattici l'estate in cui ero andato a Riccione e a mamma che mi lasciava da solo con Laura per fare l'amore e noi a parlare, invece, sempre e solo parlare, io che non la volevo, spinto fuori dal suo corpo di curve. Quello che ci capitò in quei giorni fu esagerato. Non trovo altre parole. Aveva ragione Andrea sulle storie di viaggi in altre mondi, prima o poi si avverano. Quando meno te l'aspetti, quando stai al cenone di Capodanno o in un negozio d'abbigliamento a misurarti i pantaloni. (tratto dal libro "Latte acido" di Rossella Longo)

Foto 1.2. Acquario Moby Dick del Parco Leonardo di Fiumicino (Roma)

domenica 3 maggio 2015

Non capivo niente, avevo il respiro...

Il tredici marzo avvenne, però, una cosa del tutto inaspettata. Una sera Andrea mi convinse ad andare al cinema a vedere uno di quei soliti splatter di cadaveri putrefatti e sgorbi genetici. Schifosi. Lo accontentai. Al cinema si spensero le luci e iniziarono i titoli di apertura, poi le prime scene. Mi disse sottovoce che aveva fame e io non persi occasione per evitare quelle scene da voltastomaco. Andai a prendergli una busta di pop-corn e una Coca-Cola: ero contento di prendermi cura di lui, a prescindere dai suoi rifiuti che avvertivo non essere coerenti. Andrea mi ringraziò col suo sorriso a bocca intera, che ricostruivo a memoria data la luce bassa della proiezione. Durante il film infilai la mano sotto il suo cappotto, lo toccai tra le gambe, dentro ai pantaloni, lui non si negò. Finalmente, raggiunsi il suo pene. Lo strinsi, vogliosamente. Diventava sempre più duro. Lui mise la sua mano sulla mia. All'improvviso sentii un calore avvolgermi dentro, un brivido dalle dita irrorarsi lungo le vene fino all'incavo del braccio, espandersi dalle gambe sempre più fitto, denso fino al basso ventre. Non capivo niente, avevo il respiro irregolare, il cuore mi rimbombava nel torace. Non ebbi paura per un attimo, neanche alle scene coi morti viventi. E non mi metteva in imbarazzo l'erezione sotto i miei e i suoi pantaloni. Usciti dal cinema andammo al ristorante cinese, quello all'angolo della strada dover abitavo, proprio sotto casa di Chiara. (tratto dal libro "Latte acido" di Rossella Longo)